“Paese che vai, usanza che trovi” si suole dire. Usanze che è bene conoscere per apprezzare ed approfondire maggiormente le proprie. “È con l’alterità che si costruisce l’identità” soleva ripetere il mio professore di filosofia all’Università. Viaggiare per capire che la vera libertà non risiede altrove se non dentro di noi. Una necessità, una crescita, una vera ricchezza. Un viaggio verso ciò che è diverso… ma diverso da cosa e da chi? Dall’abitudine che spesso ci rende schiavi, facendoci chiudere gli occhi di fronte alle bellezze che la vita ci offre…
Parole che tornano alla mente, che non potranno mai tramontare in me, al contrario di quel sole diverso che piano piano scompariva non più dietro il mare, ma all’orizzonte delle case, delle cupole delle chiese affacciate sul piccolo porto incantato di Monopoli (Ba), intanto che un veliero, in lontananza solcava quelle acque meravigliose dell’Adriatico, le quali chissà, forse un giorno potremmo ammirare per l’intera eternità.
«Il sole diverso che sorge dal mare, da quell’acqua chiara e cristallina, dove le case sono tutte imbiancate a calce. Una prospettiva diversa, un colore diverso in un luogo tanto diverso, ma pur sempre sotto lo stesso cielo.
Viaggiavamo in treno io ed Anna, sedute l’una accanto all’altra in quel pomeriggio di inizio luglio, dirette verso la zona delle Murge pugliesi. Un viaggio breve, insolito, eppure così lontano e diverso nel cuore come nei pensieri, che scorrevano veloci con l’austero paesaggio al di fuori del finestrino.
La terra rossa veniva baciata ed arsa dal sole; non più i soliti limoneti ed aranceti a cui eravamo abituate, ma campi infiniti di uliveti ci tenevano compagnia silenziosi ed imponenti, intanto che, all’incrociarsi dei nostri sguardi, un sorriso veniva accennato sulle labbra d’entrambe.
“Prossima fermata Monopoli”: eravamo finalmente giunte a destinazione…»
Perdersi nel dedalo di viuzze di Monopoli, tra chiesette, palazzi e “case a torre” affacciate sul mare, è forse, una delle attrattive più bella della cittadina pugliese. Camminando per il centro storico della curiosa cittadina, il cui nome durante l’infanzia lo si conosce per ben altri motivi; tutto appare così silenzioso ed incredibilmente vero:
«A farci compagnia il solo sibilo delle biciclette che, avanzando veloci, incrociavano il nostro cammino, guidato dal campanile della Cattedrale della Madonna della Madia, pronto ad indicarci la giusta strada da seguire. Difficile infatti orientarsi all’interno di quel labirinto di stradine medievali: una strana urbanistica presentava la città, non più la classica scacchiera romana con cardi e decumani, tipica del nostro centro sorrentino. Eppure, a pochi chilometri da casa, nello stesso sud del mondo, sembravamo essere lontane anni luce».
Passeggiando per le sue stradine facilmente infatti si arriverà lungo le mura di cinta, su via Argento, luogo dove sorge la Cattedrale della Madonna della Madia con facciata tardo-barocca, avente in custodia la preziosa icona bizantina della Madonna con Bambino benedicente, la quale secondo la tradizione è giunta dal mare nel 1117. Proseguendo verso sud, nel cuore del centro storico, su una piccola penisola, sorge il suggestivo Castello Carlo V. Il suo aspetto attuale risale al 1660 anno in cui venne annesso il massiccio torrione cilindrico da cui è possibile oggi accedere al suo interno.
Storia, cultura, ma anche sole mare e divertimento in quel di Monopoli. A poco meno di mezz’ora da Bari si giungerà facilmente in uno dei tratti di mare più divertenti della costa, con lidi, discoteche e ristoranti alla moda. Nella contrada Capitolo, una delle 99 di Monopoli, ci si potrà abbandonare al dolce far niente tra chiringuitos, che servono deliziosi smoothies alla frutta e insalate di mare o lanciarsi in balli sfrenati in spiaggia.
«L’aria era afosa, quasi non si respirava. Cercammo un po’ di frescura quella sera, ma tutto quello che fummo capaci di trovare fu un insolito quadretto anni ’50, tipico di quei film in bianco e nero, d’altri tempi: le vecchiette sedute in cerchio fuori dalle loro abitazioni, che, con accento tipicamente barese, spettegolavano fra loro di una cugina, o di un’ amica o di una zia, per quel che io sia riuscita a capire, insomma di qualcuna che sembrava aver commesso, a detta loro, qualcosa di a dir poco scandaloso. Ma queste cose si sanno, a cambiare sarà il termine, a Napoli e dintorni si usa chiamarlo “inciucio”, ma la sostanza anche a Bari, come altrove, resta pur sempre la stessa, con tutti gli annessi e connessi che la parola porta con sè…»
«“I panzerotti ve li siete mangiati?” ci chiesero i due pugliesi a cui chiedemmo di scattarci una foto, perplesse ci guardammo dritte negli occhi ed in coro rispondemmo che non sapevamo neanche cosa fossero. “Non potete andare via senza prima assaggiarli. Sono una vera specialità: una sorta di calzoncini ripieni con pomodoro e cacioricotta”…»
Il cibo lì era veramente squisito: la carne come il vino, le mitiche orecchiette, le pietanze delle sagre, come quella della “Pettola”, piccole zeppole simili alle nostre che si preparano a Natale, una vera bontà.
La mattina, poi, facevamo colazione in Piazza Garibaldi, un luogo agli antipodi estremi della nostra caotica piazza partenopea, lì dove silenzio e tranquillità regnavano sovrane durante tutto il giorno.
Che allegria poteva respirarsi quell’ultima serata: danze, tarante, pizziche e per farci sentire un po’ a casa, quasi come se i musicisti conoscessero il mio profondo amore per le tradizioni napoletane, suonarono una meravigliosa tarantella, dal ritmo irresistibile…
ed infine, la mattina della partenza, per farci sentire un po’ più a casa, ecco il bellissimo caffè offertoci, raffigurante il nostro Vesuvio da cui, sempre, saremmo inevitabilmente tornate…