In occasione dell’Open day dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, lo scorso 12 maggio, abbiamo avuto modo di conoscere da vicino questa interessante realtà legata al movimento mondiale di Slow Food. Il cuore pulsante della chiocciola, laddove nacque anni fa il grande sogno del ‘buono,pulito e giusto’ che Carlo Petrini – in arte Carlìn – mise in atto passo dopo passo. Scopriamo in una intensa giornata alcuni dei centri principali delle Langhe, in Piemonte, territorio vocato al vino ma anche a tante altre eccellenze gastronomiche italiane.
POLLENZO. Da qui ha inizio il nostro mini tour di maggio, in una mattinata calda, quasi afosa, in cui l’ateneo fondato da Slow Food ha aperto le porte agli aspiranti gastronomi, enologi, agronomi e studiosi del futuro. Giunti a Bra, dove torneremo più tardi, troviamo il bus della linea 2 che ci conduce fino all’antica Pollentia, d’origine romana e ricca di scavi che ne testimoniano la presenza di antiche ville sottostanti l’università e le residenze studentesche dell’agenzia. Il rosso vivo della struttura, con le sue torri e il suo castrum riadattato a centro studi sulla terra e il cibo, cattura da subito la nostra attenzione al centro della pacifica valle circondata dalle Alpi ancora innevate.
Qui la Banca del vino, altro socio fondatore della UniSG di Slow food. Le sue bottiglie rappresentano dei tesori unici, prova di quanto la mano di Carlìn e dei soci attivi nel settore abbiano inciso nella custodia di vini pregiatissimi e forse destinati a scomparire. Raccolti nella suggestiva cantina in mattone rosso, anch’essa come l’aula magna dove il rettore UniSG prof. Andrea Pieroni ha salutato l’anno accademico nuovo esponendo l’offerta formativa slow. Casse di legno e descrizioni approfondite, provenienza, etichetta e metodi di affinamento, tutto ciò è il contorno della sala esposizioni in cui figurano in gran parte bottiglie simbolo del Piemonte, doc e docg, oltre al resto d’Italia.
La sala degustazioni è l’ultimo angolo di questo paradiso del vino, dove comodamente il visitatore è destinato a fermarsi ed assaggiare quanto di buono propone lo staff della Banca del vino. Un vero e proprio shop, un maxistore di vino e di gadget legati all’uva, prodotti chimici e naturali, distillati, pasta e prelibatezze piemontesi. Prosegue dunque il tour delle Langhe (basse) verso la capitale del gusto, Bra.
BRA E LA SALSICCIA. Una cittadina deliziosa, che si apre con un intersecarsi di viuzze e piccole case alternate a chiese in stile gotico e dal color rosso fiammante come anche nell’appena visitata Pollenzo. Interni altrettanto stupefacenti, dove vengono custodite opere d’arte di indubbio valore che segnano il passaggio dall’antico al moderno. Bra è la capitale del gusto, soprattutto in quanto culla di Slow food. Lì in centro a via della Mendicità Istruita ecco il balcone con tante grandi chiocciole rosse ad accogliere fan e curiosi del movimento. L’Osteria del Boccondivino, proprio sotto la sede legale della chiocciola, è un locale aperto su di un cortile ombreggiato, fresco, con i tavolini sempre occupati e attese che nei giorni di weekend arrivano perfino a superare l’ora. Ciò malgrado, ne sorgono altrettante anche lungo la via principale di Bra, nel centro storico, di cui la nostra – dove decidiamo casualmente di fermarci per pranzo – è stata di recente inserita nella guida Touring Club Italiano fra le osterie migliori. Per festeggiare la ‘promozione’ del recente locale, in stile rustico ed accogliente, la proprietaria ci fa accomodare offrendo un menù a prezzo scontato ma altrettanto buono come proposta. I tajarìn sono ovviamente la specialità di pasta fresca del posto. In salsa di pomodoro e brasato oppure al ragù di salsiccia di Bra, il primo piatto è un trionfo di sapori.
Bra non sarebbe Bra senza la sua salsiccia, forse l’unica in Italia a venir mangiata cruda, per la sua particolare dolcezza e tenerezza della carne suina. Alcuni la cuociono, in ogni caso, servendola nella grigliata mista di secondo piatto o appunto come ragù. Il formaggio, caprino molle o stagionato, è un’altra delizia che non può mancare a tavola. Ne ordiniamo un piatto con tre tomini immersi in una simil bagna cauda di pesto di prezzemolo e menta, tanto per rimanere nella tradizione vegetariana della zona. Il vino, inutile dirlo, è un mare magnum. Dal Dolcetto d’Alba, di Dogliani, Diano, il Nebbiolo che costituisce al 100% il famosissimo Barolo docg, fino ai bianchi Gavi dei Gavi e Roero. Tra le Langhe e l’astigiano – zona di spumanti – le colline sono tutte un vigneto a perdita d’occhio, interrotte da piccoli castelli e dimore nobiliari che completano questo meraviglioso paesaggio.
ALBA. Ultima, ma non certo in ordine di importanza, è la tappa ad Alba. La patria del tartufo e del letterato Beppe Fenoglio. Qui un grande centro studi ne ricorda la vita e le opere, con attività culturale fervente e sempre viva. Il duomo, rosso e in stile gotico, colpisce dall’esterno nel mezzo di piazza Risorgimento e lascia a bocca aperta una volta dentro. Un cielo stellato di impronta medievale e giottesca adorna le cupole con pilastri slanciati e volte a crociera, staccando con il rossissimo mattone della facciata e del palazzo comunale posto di rimpetto alla chiesa. Le vie del centro storico ne sono valse l’attribuzione di patrimonio UNESCO, in quel dedalo di stradine calme e piene di negozi di salame, salsiccia e formaggio, ma soprattutto botteghe del tartufo. Un esperto ci dice che per la fiera del bianco d’Alba non è ancora tempo, trattandosi di un tartufo d’ottobre. L’evento internazionale legato al tartufo bianco delle Langhe è infatti ancora lontano, perciò ci accontentiamo di assaggiarne un patè e una crema al tartufo servita su grissini, dentro una pittoresca rivendita di tartufi in cui il nero la fa da padrone.
Torniamo dunque in città, senza dimenticare che la giusta cornice di questa nostra escursione in terra di gusto è stato il Salone del Libro di Torino al Lingotto Fiera. A presto con le prossime proposte weekend a base di cultura ed enogastronomia.