14 settembre. Dante riletto a 700 anni esatti dalla sua scomparsa

Ricorre oggi l'esatto 700nario dalla morte di Dante. Un passo del Paradiso, dal Canto XVII, dà voce al suo avo Cacciaguida con la profezia sul suo esilio da Firenze

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Nella notte tra il 13 e il 14 settembre del 1321, per le gravi conseguenze della febbre malarica contratta nelle paludi del Polesine, Dante Alighieri si spense. Di ritorno da un’ambasceria delle tante, alle quali il Sommo Poeta della patria era abituato ormai, per perorare la causa ravennate a Venezia e scongiurarne il conflitto.

Il culmine della sua vita da esiliato, ospite di Guido Novello da Polenta nella Ravenna dove tuttora riposano le sue spoglie. La sua Firenze ne ha più volte rivendicato il ritorno in patria, lei… quella stessa ingrata patria che lo mise al bando per poi condannarlo contumace nel 1301. In preda al ribaltone politico dei Guelfi Neri di Corso Donati, Dante visse gli ultimi vent’anni della sua esistenza da fuggiasco, nemico pubblico per Firenze tutta. E di Firenze stessa affida il giudizio ad una delle anime beate frutto della sua penna.

Dopo 700 anni esatti dalla sua morte, ne ricordiamo appunto uno dei passi più celebri tratti dalla Divina Commedia. Firenze, in mano alla fazione dei Neri mentre i beni e le proprietà degli Alighieri depredati e spartiti fra i migliori offerenti, è artefice della condanna che relega Dante al destino così profetizzato dall’antenato Cacciaguida.

Crociato in Terra Santa oltre un secolo prima, quando la stirpe degli Alighieri ancora non aveva assunto tale appellativo ufficialmente. Cacciaguida è collocato da Dante in Paradiso, dove avviene l’incontro narrato in terzine nel Canto XVII.

Ne citiamo i vv. 46-69 in cui s’intravede il futuro amaro di Firenze, che Dante mai più rivedrà da vivo (nè da morto):

Qual si partio Ipolito d’Atene 
per la spietata e perfida noverca, 
tal di Fiorenza partir ti convene.                                       48

Questo si vuole e questo già si cerca, 
e tosto verrà fatto a chi ciò pensa 
là dove Cristo tutto dì si merca.                                       51

La colpa seguirà la parte offensa 
in grido, come suol; ma la vendetta 
fia testimonio al ver che la dispensa.                            54

Tu lascerai ogne cosa diletta 
più caramente; e questo è quello strale 
che l’arco de lo essilio pria saetta.                                57

Tu proverai sì come sa di sale 
lo pane altrui, e come è duro calle 
lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.                           60

E quel che più ti graverà le spalle, 
sarà la compagnia malvagia e scempia 
con la qual tu cadrai in questa valle;                              63

che tutta ingrata, tutta matta ed empia 
si farà contr’a te; ma, poco appresso, 
ella, non tu, n’avrà rossa la tempia.                               66

Di sua bestialitate il suo processo 
farà la prova; sì ch’a te fia bello 
averti fatta parte per te stesso.                                        69

(cit. Divina Commedia – Paradiso, Canto XVII, 46-69)

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