Sette domande. L’uva Camaiola del Sannio narrata da Giacomo Simone

Dal patron dell'omonima azienda vitivinicola l'intricata vicenda del vitigno che affonda le sue radici nella piccola Castelvenere, con approfondimenti e spunti di alta letteratura enologica

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E’ da tempo una vicenda piuttosto contorta, intricata, piena di punti ancora oscuri. Eppure, grazie alla preziosa testimonianza di chi il vino lo produce, lo ama e lo vive, così come ama e vive la propria terra, siamo riusciti a ricostruire l’intera storia dell’uva Camaiola del Sannio – che in certe zone è meglio nota come Barbera del Sannio. La nostra fonte è Giacomo Simone, patron dell’azienda vitivinicola omonima con sede a Castelvenere, in provincia di Benevento. La Camaiola è oggi al centro di progetti di recupero nella culla del vino che è il territorio della Valle Telesina, cuore del Sannio Dop Città Europea del Vino nel 2019. Ma non è tutto, perchè proprio di alcuni giorni fa è la notizia del gemellaggio avviato dalla cittadina sannita con l’isola di Procida, Capitale Italiana della Cultura 2022; Castelvenere ha inoltre ospitato l’originalissimo evento dei ‘Mercavini di Natale’ dedicati all’enoturismo e alle visite in cantina nel piccolo centro addobbato per le festività.

Un vitigno con una storia ancora da chiarire del tutto. Ne racconta perbene caratteristiche e differenze con la Barbera il signor Giacomo Simone nell’intervista concessa a Paginasette:

Ben trovati signor Simone e grazie per aver accettato questa nostra intervista. In avvio, potrebbe collocare geograficamente quella che è la culla dell’uva Camaiola?

Il territorio dell’intera Valle Telesina, anche se in questi ultimissimi anni il vitigno viene piantato anche in Comuni dell’area beneventana. All’indomani della fine della prima guerra mondiale, il produttore titernino Luigi Di Cosmo pubblicizzava la sua attività sul ‘Primo annuario generale vinicolo illustrato’ (1921), parlando di vigneti di barbera coltivati su ben soleggiate colline. Da questo periodo abbondano le testimonianze che legano il nome (falso) di barbera a quello di Castelvenere. Il motivo è legato ad una opportunità commerciale. Nella Valle Telesina si andava affermando in quel periodo il vino denominato Solopaca, richiamando il paese dove sorgeva la stazione ferroviaria (la linea Caserta-Benevento-Foggia entrò in funzione nel biennio 1868-1870) da cui partivano le uve e il vino diretti verso il Nord Italia, in Francia e anche in Germania, dove proprio in quegli anni le vigne finirono sotto la scure catastrofica della fillossera. È in questo periodo che la viticoltura trasformò il piccolo borgo di Castelvenere, che non arrivava a mille anime, in un paese completamente dedito alla produzione vitivinicola, con un boom che in soli tre decenni portò la popolazione a raggiungere la soglia dei 2.500 abitanti. Fu allora che si crearono le condizioni che fanno oggi di Castelvenere il “Comune più vitato del Sud” (in termini di percentuale tra la superficie vitata e quella totale), tra i primi anche a livello nazionale.

Perché si è perduta negli anni la dicitura “Camaiola” in favore di “Barbera del Sannio” ? O più correttamente, esiste una correlazione tale da generare confusione?

I produttori del posto, anche per distinguersi dagli altri produttori sanniti, presero a chiamare il loro vino rosso (ovviamente prodotto con più uve) con il nome di Barbera. Trattandosi nella maggioranza di emigranti di ritorno dall’America del Nord, avevano conosciuto la fortuna commerciale dei vini Barbera. La confusione tra il vitigno coltivato nella Valle Telesina e l’omonima varietà piemontese è stata favorita anche dalla particolare diffusione che ebbe il “vero” vitigno Barbera nel Sannio e nella Campania nel secondo dopoguerra. Per comprendere tale aspetto corre in aiuto il capolavoro di Mario Soldati, ‘Vino al Vino’, pubblicato nel 1969. Lungo il suo viaggio tra le province di Avellino, Caserta e Napoli il grande scrittore incontrò l’allora direttore della Scuola Statale di Viticoltura ed Enologia di Avellino, Rocco Cassano, per una conversazione che ci offre informazioni importanti. Si coglie prima di tutto il calo della coltivazione dell’aglianico: «Prendiamo ad esempio l’Aglianico di Taurasi, il re dei nostri vini, un po’ quello che è il Barolo per la provincia di Cuneo. In seguito alla fillossera e all’emigrazione, dopo l’altra guerra la produzione dell’Aglianico scesa da 20.000 quintali a 4/5.000 quintali. Si era passati ad altre colture, grano, tabacco, frutta, meno difficili e meno costose della vigna, soprattutto meno bisognose di manodopera specializzata». A questo si aggiunge la particolare diffusione del Barbera: «La Barbera qui viene benissimo. Barbera bastarda se vogliamo, ma buona. E i coltivatori del posto la mettono sempre di più, perché meno delicata dell’Aglianico, e richiede meno cure. E così, purtroppo, la Barbera a poco a poco finirà con l’uccidere l’Aglianico. Ma che cosa ci vuol far?». Una situazione identica a quella del Sannio, dove si registrò nei due decenni che seguirono alla guerra una crescita costante delle coltivazioni di vitigno Barbera: nel periodo che va dal 1964 al 1966 gli impianti presentavano numeri tali da contendersi il primato in provincia con l’Aglianico. Quindi alla base della confusione non vi è alcuna caratteristica di identità con il noto vitigno piemontese.

Glielo avranno indubbiamente chiesto in tanti, ma le rigiriamo la domanda al contrario. Barbera del Sannio e Barbera del Piemonte non hanno proprio nulla in comune ?

I viticoltori di Castelvenere e della Valle Telesina presero contezza della differenza tra il vitigno coltivato in loco con l’omonimo barbera piemontese già negli anni Sessanta del secolo scorso. Tuttavia occorre aspettare diversi decenni per avere le prime documentazioni scritte che attestano tale differenza. Nel 2001 venne pubblicato dalla Regione Campania (Se.S.I.R.C.A., Settore Sperimentazione, Informazione, Ricerca e Consulenza in Agricoltura) il volume ‘La risorsa genetica della vite in Campania’. Nell’opera, curata da Michele Manzo e Antonella Monaco, venivano descritti 44 vitigni, di cui ben 34 non risultavano essere iscritti al Registro nazionale delle varietà di viti. Tra questi anche il vitigno ‘Barbera del Sannio’, con gli studiosi che evidenziavano di trovarsi di fronte ad un vitigno “confuso” con la famosa varietà piemontese. Qualche anno dopo, nel 2006, Anna Schneider e Franco Mannini rimarcano questa distinzione nell’opera ‘Vitigni del Piemonte: varietà e cloni’, individuando l’assenza di qualsiasi parentela fra il vitigno coltivato a Castelvenere e il barbera piemontese. Sul Database Viticolo Italiano (www.vitisdb.it) la varietà Barbera Nera (iscritta al Registro nazionale delle varietà di viti con il codice 19) troviamo scritto: «Cultivar tipicamente piemontese, il Barbera è uno dei rari casi di vitigni privi di importanti sinonimie, in quanto è ovunque noto con il suo nome principale. In compenso, per denominare alcuni vitigni minori locali (un tempo abbastanza diffusi), i viticoltori si sono ispirati al Barbera: ecco dunque un Barbera ‘d Davi nel Pinerolese in provincia di Torino, una Barbera Ciarìa (o Ciairìa) nel Roero in provincia di Cuneo, una Barbera rotonda nel Canavese (TO), tutte cultivar distinte dal Barbera. Vi è inoltre in provincia di Alessandria una Barbera bianca che non ne è affatto la variante a bacca bianca, bensì un genotipo distinto. Pure distinta dal Barbera è la Barbera sarda, che pare geneticamente prossima ad altri vitigni dell’isola (Nieddu, 2011)». In questa distinzione entra presto anche la cosiddetta ‘Barbera del Sannio’, considerato che nel 2013, Jancis Robinson – definita dalla nota rivista ‘Decanter’ come il critico e giornalista di vini più considerata al mondo – insieme a Julia Harding e José Vouillamoz pubblica il volume Wine grapes – A complete guide to 1.368 vine varieties, including their origins and flavours in cui dedica una scheda al vitigno ‘Barbera del Sannio’, varietà «non collegata» al vitigno del Nord e coltivata «in particolar modo a Castelvenere, nella Valle Telesina, in provincia di Benevento, nel Centro Italia» (cit.).

Dunque, Castelvenere è la piccola grande patria di questo vitigno storico. Ma che caratteristiche ha rispetto agli altri rossi sanniti ?

Rosso di colore deciso, color rubino intenso, naso fruttato, floreale, corpo, freschezza, pronta beva, un vino che esprime la freschezza dei terreni sciolti sui quali è coltivata la Camaiola. Vino da abbinare a piatti di carne ai ferri, pasta al forno, ragù, temperatura di servizio 14-16. Non ha bisogno di fare passaggi in legno o lunghi affinamenti in bottiglia. Vino della gioia. La Camaiola in passato mai veniva sempre tagliata con altre uve, era troppo preziosa con produzione  e resa in mosto basse, veniva spesso tagliata con vini bianchi come l’agostinella o altri vini rossi autoctoni per alleggerire.

In questi ultimi anni però le istituzioni hanno portato avanti con successo progetti volti al ritorno della Camaiola. Lei cosa ne pensa come produttore ?

Quest’uva, che nel passato veniva utilizzata soprattutto per dare colore e profumo ai vini, in quanto molto ricca di antociani e dal bouquet piacevolmente fruttato, oggi rappresenta la varietà che più di tutte riesce ad esprimere nel calice il territorio castelvenerese, estrema sintesi del concetto di terroir, inteso non solo come appartenenza al territorio di produzione, ma come un articolato mondo fatto di simboli, emozioni, legami sociali e culturali che non trovano piena espressione in un termine solo. Negli ultimi anni questo vitigno va riscuotendo un nuovo successo. Un successo di critica e di consumatori favorito dalle caratteristiche dei vino che da queste uve si ottengono. Vini moderni, perché leggeri e bevibili, godibili su tanti piatti tipici della cucina campana; vini antichi, per il loro essere profondamente radicati al territorio e a varie tecniche di vinificazione, gelosamente custodite da produttori con secolari storie enologiche familiari alle spalle.

Sannio Città Europea del Vino 2019 è stato un enorme successo per tutti i Comuni del vostro territorio. La sua azienda come si è mossa in quel momento… direi storico per l’intera zona ?

Sannio Città Europea del Vino 2019 è stato un enorme successo per tutti i Comuni del vostro territorio. Come territorio e come singole aziende abbiamo partecipato alle tante iniziative del consorzio Tutela Vin del Sannio e dai comuni. C’è stata tanta attenzione mediatica e si sono svolti molti incontri intorno alla questione enoturismo e aree interne.

Castelvenere ha appena siglato un patto di gemellaggio con Procida Capitale della Cultura 2022. Che impatto può avere dal punto di vista del turismo del vino questa intesa tra l’isola flegrea e le aree interne della Campania?

Questo gemellaggio può esser un volano per l’enoturismo riuscire a veicolare il flusso di enoappassionati e non nelle aree interne che hanno poca visibilità, avviare una rete di piccoli comuni che hanno caratteristiche diverse ma stesse necessità. Di sicuro un gemellaggio utile e spero proficuo per entrambe.

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