Cinque anni fa, era il 7 dicembre 2017, l’Unesco riconosceva l’arte dei pizzaiuoli napoletani quale patrimonio immateriale dell’umanità. Napoli e provincia accolsero la notizia con manifestazioni di grande gioia e con l’entusiasmo che da sempre contraddistingue il popolo partenopeo. Le associazioni di categoria appresero naturalmente con estrema soddisfazione la notizia del prestigioso riconoscimento internazionale, organizzando eventi e sfornando pizze a tema in tutti i locali aderenti alla tradizione della pizza napoletana.
Pochi giorni fa, dall’Unione Europea, è arrivata una ulteriore modifica alla normativa proprio a proposito della nomenclatura inerente la pizza di Napoli.
Già dal 2010 è in Gazzetta Ufficiale il disciplinare con cui lo Stato italiano e il Mipaaf – accogliendo le istanze di A.V.P.N. – approvavano il decalogo della pizza napoletana quale S.T.G. ovvero Specialità Tradizionale Garantita; la medesima dicitura è stata negli ultimi giorni ribadita dal Regolamento U.E. in questione, che entrerà in vigore negli Stati membri a partire dal 18 dicembre prossimo.
Generando però non poche ambiguità, polemiche, perplessità.
A tale proposito, ascoltiamo il parere in merito alla vicenda giuridica della pizza napoletana s.t.g. di una giovane, ma esperta, professionista in materia di diritto ambientale ed alimentare, l’avv. Valeria Paladino di Sorrento – molto attiva sul social network Instagram con la sua pagina Toga Verde :
Con il Regolamento di esecuzione (U.E.) 2022/2313 della Commissione del 25 novembre 2022, il nome «Pizza Napoletana» (STG) è stato registrato con riserva del nome. Dall’entrata in vigore del Regolamento solo le pizzerie che rispettano il disciplinare di produzione della Specialità Tradizionale Garantita «Pizza Napoletana» potranno indicare il proprio prodotto con tale appellativo.
Il nome «Pizza Napoletana» era stato infatti in precedenza registrato con Regolamento (UE) n. 97/2010 ma senza riserva del nome, a norma dell’articolo 13, paragrafo 1, del Regolamento (CE) n. 509/2006 del Consiglio; successivamente la richiesta dell’Italia per la riserva del nome, avvalendosi della possibilità offerta dall’ art. 26 del Regolamento (Ue) n. 1151/2012 di convertire in STG con riserva del nome, mediante una procedura semplificata, le STG senza riserva del nome esistenti.
Va precisato che, proprio a partire dal Reg (UE) n. 1151/2012, non è infatti più consentita la registrazione senza riserva del nome e che, in regime transitorio, il nome è stato tutelato a norma dell’articolo 25, paragrafo 2, del Regolamento stesso, a mente del quale i nomi registrati secondo le prescrizioni dell’art. 13, quale quello in esame, avrebbero potuto continuare a essere utilizzati alle condizioni stabilite dal Regolamento (CE) n. 509/2006 fino al 4 gennaio 2023.
Se per un verso, alla luce del recente aggiornamento può apparire a qualcuno paradossale che prodotti al di fuori del territorio napoletano o anche italiano possano, nel rispetto dei requisiti di cui al relativo disciplinare e debitamente certificati, fregiarsi del nome “pizza napoletana”, mentre l’utilizzo sarebbe invece proibito al pizzaiolo napoletano che adotti canoni divergenti dal disciplinare, bisogna, per l’altro, sottolineare che la caratteristica della STG è proprio l’assenza di un vincolo di provenienza o origine, contrariamente a DOP e IGP, e quindi un minore legame col territorio, quantomeno in senso geografico.
Infine, giova, ai fini del dibattito chiaramente in corso “nel mondo della pizza”, evidenziare che a livello normativo l’aggettivo «tradizionale» in relazione alle STG è connesso all’”uso comprovato sul mercato nazionale per un periodo di tempo che permette di tramandare le conoscenze da una generazione all’altra” e tale periodo deve essere di almeno trenta anni.
avv. Valeria Paladino – Sorrento (cit.)