Ciro Di Maio è un giovane pizzaiolo, classe 1990, originario di Frattamaggiore, nel Napoletano. Nel 2015, dopo aver lasciato gli studi all’Alberghiero, per trovare qualche nuova opportunità decise di trasferirsi in Lombardia. È così che è iniziata l’avventura di “San Ciro”, la sua pizzeria con sede a Brescia. Il nome del locale deriva da quello dei nonni, sia materno che paterno, di Ciro. Figure importanti nella sua vita, come quella del padre, che per rimediare al suo passato ha dedicato il suo tempo al volontariato e ad aiutare i giovani ad uscire dalla droga collaborando con una comunità per salvare i tossicodipendenti.
Dalle difficoltà iniziali alla realizzazione lavorativa: Ciro oggi si considera un privilegiato e, dopo aver superato le difficoltà connesse alla pandemia e ai successivi rincari delle materie prime, ha deciso di donare a chi è meno fortunato la possibilità di trovarsi un lavoro. La pizza come forma di rinascita. Il lavoro come via di fuga dalla criminalità.
Dal 28 febbraio, infatti, Ciro sta insegnando l’arte della pizza ai detenuti del carcere Canton Mombello di Brescia, grazie ad un progetto ideato in collaborazione con Luisa Ravagnani, garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Brescia, e sostenuto dalla direttrice del carcere stesso, Francesca Paola Lucrezi. Un progetto nato ancora nel 2019, poi sospeso per via del Covid, e che adesso può decollare.
Per due mesi Ciro entrerà in carcere due volte a settimana, per realizzare lezioni di teoria e pratica su come si fa la pizza perfetta. Dal ruolo del sale alla temperatura dei forni, passando per i segreti dell’impasto e quelli legati al pomodoro. Alle lezioni presenzieranno sette detenuti, tutti accusati di reati minori e dunque pronti a scontare un (breve) periodo di detenzione in carcere. In tutto, quaranta ore di un corso professionale che userà le strutture del carcere (come il forno elettrico) e sarà supportato da “San Ciro”, almeno per la gestione dei primi impasti.
Luisa Ravagnani è garante dei diritti delle persone private della libertà personale a Brescia. “Imparare un mestiere in carcere rappresenta una concreta possibilità di utilizzare il tempo della pena per prepararsi a un futuro lontano dalle scelte devianti che in precedenza hanno condotto al carcere”, dice. “L’impegno di Ciro in questo progetto dimostra che la collettività esterna è in grado di abbandonare pregiudizi e stigma per trasformarsi in elemento fondamentale del percorso di reinserimento. Non resta che sperare che l’entusiasmo di Ciro contagi anche altri imprenditori che, come lui, sappiano credere nelle seconde possibilità.
Francesca Paola Lucrezi è la direttrice del carcere. “Il corso di pizzaiolo nella Casa Circondariale di Brescia ha riscosso sin da subito moltissimo apprezzamento tra i detenuti che ne hanno chiesto , in numero di gran lunga superiore rispetto ai posti disponibili, la partecipazione”, dice. “L’attività professionalizzante, oltre a conferire competenze è particolarmente “appetibile” per la spendibilità nel mondo del lavoro. È senz’altro auspicabile la ripetizione dell’attività all’interno del carcere e sarebbe un importante risultato se altri pizzaioli accettassero la proposta di Ciro di consorziati in tal senso: fare sistema garantisce efficacia e tenuta nei risultati”.
“Un ragazzo che finisce in carcere, magari per reati minori, poi ha una difficoltà enorme nel reinserirsi nel mondo lavorativo”, spiega Ciro. “Lo so per esperienza personale, ho visto molti amici finire male. Per questo ho deciso di impegnarmi in prima persona per aiutarli. In questo momento storico, tra l’altro, c’è una richiesta sempre maggiore di pizzaioli e di persone che si vogliano impegnare nell’ambiente della ristorazione. Abbiamo pensato di proporre un corso di questo tipo proprio per garantire in modo quasi automatico l’assunzione alle persone che seguiranno il corso”.
L’obiettivo nel medio periodo di Ciro è quello di creare una sorta di consorzio di pizzaioli che, come lui, vogliano dare una possibilità a chi ha sbagliato e contemporaneamente ricoprire quei ruoli che sono ancora vacanti. “Lancio un appello ai miei colleghi che lavorano nella ristorazione”, conclude Ciro. “Vorrei fondare un’associazione di persone che vogliano aiutare gli ex detenuti a reinserirsi con una nuova professionalità. In questo periodo nel quale mancano lavoratori è un modello positivo per tutti”.
Va detto che Ciro non è nuovo ad iniziative benefiche. Qualche tempo fa, si era dedicato alla formazione anche nel Rione Sanità di Napoli, una zona che a lui ricorda la via dove è cresciuto, via Rossini a Frattamaggiore. L’istituto che ha abbracciato il suo progetto è stato quello alberghiero D’Este Caracciolo. Nello specifico, le classi che hanno seguito le videolezioni sono state quelle ad indirizzo enogastronomico e a indirizzo sala e accoglienza.
Ciro Di Maio nasce a Frattamaggiore, un comune del Napoletano, nel 1990. Mamma casalinga, papà dal passato burrascoso. Le sue prime esperienze nel lavoro sono a 14 anni, poi si iscrive all’Alberghiero, ma a 18 anni lascia gli studi e inizia a lavorare. Nel 2015, la svolta: trova un lavoro da pizzaiolo per una grossa catena in Lombardia, poi riesce a rilevare quella pizzeria assieme a sei soci, infine diventa titolare unico. È così che è iniziata l’avventura “San Ciro”, il suo locale a Brescia (vicino al multisala Oz, in via Sorbanella) che oggi impiega una quindicina di persone ed è noto per la veracità delle sue pizze, ma anche per il suo menù alla carta di alta cucina. Un locale amato perché rappresenta la tradizione napoletana, a partire dagli ingredienti: olio dop, mozzarella di bufala campana dop, pomodorino del Piennolo, ricotta di bufala omogeneizzata e porchetta di Ariccia Igp. Fondamentale è la pasta: ogni giorno viene scelto il livello esatto di idratazione, in base all’umidità di giornata. In menù ha la pizza verace, ma anche il battilocchio, la pizza fatta da un impasto fritto nell’olio bollente e subito servito avvolto in carta paglia. Le pizze sono tutte diverse, sono fatte artigianalmente. Ciro lo ripete spesso. “Mi piace tirare le orecchie alle pizze, ognuna ha il suo carattere e deve mostrarlo, odio le pizze perfettamente rotonde e se c’è più pomodoro da una parte rispetto ad un’altra è perché usiamo pomodori veri”. Molti i vip che lo amano, le pareti del suo ristorante sono piene di fotografie. Tra le altre anche Eva Henger, che è stata a cucinare pizze una sera da lui. Senza dimenticare i giocatori del Brescia Calcio, che quando possono, anche dopo le partite, lo passano a salutare.