1967-2017, la D.O.C. Verdicchio Matelica compie 50 anni

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“Il tempo che celebra la qualità” come recita lo slogan scelto dall’Associazione Produttori del Verdicchio Matelica per ricordarne il 50esimo anniversario della D.o.c.  Siamo nelle Marche, regione italiana centrale non solo per motivi geografici. Anche nel panorama vitivinicolo l’importanza della terra del Leopardi è centrale, per le sue note produzioni legate al vino, bianco per la maggior parte.

Bianco d’altura, come il Verdicchio Matelica appena citato; bianco di pianura, con flebili influssi dell’aria di mare, considerando il vicino cugino del Verdicchio Castelli di Jesi. Dall’entroterra alla costa, la regione Marche è tutta un susseguirsi di dolci colline e valli costellate di piccoli borghi, incastonati come pietre preziose culminando nel trionfo del blu adriatico non appena avvicinandosi al litorale. Luglio sarà il mese delle celebrazioni legate al vino bianco così battezzato per i suoi colori, le sue sfumature eleganti, la sua brillantezza ed i sapori decisi, freschi e ideali per la cucina di pesce marchigiana. 21 luglio è la data del cinquantenario della Doc Matelica, paese dell’entroterra fra il maceratese e la provincia di Ancona, laddove viene coltivato e prodotto questo vitigno autoctono dalla produzione magari un po’ limitata – vista la zona – ma al contempo pieno di sole, con grappoli che ne garantiscono un fluire nel calice corposo, dall’olfatto al momento in cui il vino è in bocca. Come ricordato anche durante l’ultima edizione del Vinitaly – lo scorso aprile alla Fiera di Verona – i 50 anni del Verdicchio Matelica saranno ricordati nella cittadina marchigiana durante il caldo mese di luglio, nel cuore dell’alta Vallesina (MC). Luogo dove, da secoli, si coltiva un vino che oggi con la sua Doc è primo nelle Marche e 14° in Italia.

L’invito a visitare le Marche è venuto dallo stesso presidente dell’asso-produttori Umberto Gagliardi, presente anche a Torino lo scorso settembre per la degustazione del Matelica durante il Salone di Terra Madre Slow food. Da un evento internazionale all’altro, ma passando necessariamente per una piccola realtà provinciale capace di offrire al pubblico un grande vino bianco.

PRIMA IL DOVERE, POI IL PIACERE…

Abbinamenti di vari prodotti tipici della cucina umbro-marchigiana con quella romagnola esaltano i sapori attirando i palati più raffinati ma al contempo abituati alle tradizionali ricette di montagna. Le radici contadine della cucina del Montefeltro vengono fuori dalla presenza di piatti per lo più grassi, con ricette a base di uova, carne e verdure di stagione. Le frittate, appunto, vengono cucinate e preparate in vario modo a seconda delle stagioni, a base di verdure lesse oppure cotte in vari modi. Evidenziando quindi il prevalere della tradizione contadina rispetto alla piada romagnola, l’uovo è ingrediente base di tutta la cucina urbinate. Ne è conferma anche la presenza nei ristoranti e nei negozi di souvenir delle tante paste fresche che vengono cucinate in questa zona. Le tagliatelle sono ottime ad esempio se preparate in salsa di fagioli o al tartufo bianco; i passatelli rappresentano invece un’ottima qualità di pasta fresca servita generalmente in brodo di cappone; i cappelletti sono poi lo speciale mix di ripieni a base di carne e formaggi locali avvolti in una pasta sfoglia, che si sposa naturalmente con i migliori vini rossi delle colline circostanti quali il Valturio, che si ottiene miscelando vari vitigni di Sangiovese. Secondi piatti tipici del Montefeltro sono invece gli arrosti e le carni di coniglio (celebre il “coniglio in porchetta” imbottito con finocchio selvatico), oppure pietanze a base di funghi spesso accompagnate da cotiche, porchetta e lardo. Piuttosto richiesto all’interno della lista degli arrosti è però il cosiddetto piccione ripieno, spesso accompagnato da patate e lardo. Insomma una cucina per palati sensibili ma allo stesso tempo molto grassa e calorica.

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