Sette domande. Gabriele Gorelli, il primo Master of Wine d’Italia

La storia, le passioni e l'impegno lavorativo dietro al successo del giovane wine storyteller toscano. Scenari internazionali, ma sempre legatissimo alla sua Montalcino

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Torniamo a parlare di vino, ma nella maniera più autentica ed elevata che ci sia. Incontriamo questa sera il primo italiano e tecnico del mondo enologico insignito del prestigiosissimo titolo di Master of Wine. Gabriele Gorelli, giovane promessa che dalla culla del Brunello, Montalcino, ci racconta la strada che lo ha portato a questo ambito riconoscimento che, nel mondo, è davvero per pochi.

Prima di lasciarvi alle sette domande della nostra intervista a Gabriele Gorelli, due pillole sulla terra d’origine del protagonista di stasera sono doverose.

Foto da argianodimore.it (Montalcino)

Non solo per l’importanza dei rossi toscani di livello internazionale che qui vengono prodotti – e la provincia di Siena ne è ricchissima – dal brunello al sangiovese in genere, dai vitigni autoctoni a quelli diffusi anche nel resto d’Italia e d’Europa come Cabernet, Syrah e Merlot; ma Montalcino, nel cuore della Val d’Orcia fra le celebri ”crete senesi” e le ”strade bianche” note ai ciclisti, è stata anche scelta dalla Gazzetta dello Sport come arrivo del Giro d’Italia per la tappa del Brunello da Perugia a Montalcino, appunto, in programma il 19 maggio prossimo.

Punto di incontro, quindi, fra sport e tradizione enologica. C’è poi l’ovvio risvolto enoturistico, che fa della Toscana la prima regione italiana ad essersi dotata di una legge regionale ad hoc, nella cornice della normativa nazionale sul turismo del vino.

La storia di oggi si lega benissimo con l’ampio discorso sulle prospettive enoturistiche dell’era post covid. Una speranza per il futuro del comparto, del turismo in genere.

Della sua Montalcino e della lunga strada che dalla tradizione familiare alla professione lo ha condotto al prestigioso titolo mondiale, ci parlerà ora il nostro Italian Master of Wine. Parola dunque a lui, Gabriele Gorelli.

Buongiorno signor Gorelli, la ringraziamo per averci concesso di “incontrarla” oggi, ancora fresco del titolo Master of Wine. Ma partiamo dall’inizio, a che età lei si è approcciato al mondo del vino per la prima volta?

Mi sono approcciato al vino decisamente in tenera età. Posso dire di aver cominciato a prendere parte alla produzione ben prima di aver iniziato a berlo. Mio Nonno Paterno, Giancarlo Gorelli, aveva una piccolissima proprietà appena fuori le mura di Montalcino, appena 0,46 Ha di Brunello. E’ lì che insieme a mio padre e mio zio sono stato ‘iniziato’ al vino. Mi piaceva essere un uomo di casa e contribuire per quanto potevo. Ai tempi (sono nato nell’84) l’investimento di un produttore di piccolissima taglia come mio nonno era esclusivamente nel vigneto e in cantina. Ho realizzato presto che mancava un anello di congiunzione con il consumatore che non era debitamente informato delle fatiche e dei ritmi che la vigna impone e della sensibilità richiesta per la produzione di un vino territoriale di qualità. Per questo motivo ho deciso intraprendere una formazione che mi aprisse verso la comunicazione, studiando lingue.

La conoscenza del vino in maniera così approfondita non è da tutti. Per conoscere meglio lei e la sua attività, lei in quale di queste personalità si ritrova di più: enologo, sommelier, imprenditore, esperto di vino in generale ?

Se mi avesse fatto questa domanda poco più di un mese fa avrei dovuto parlare per un po’ per rispondere. Oggi, dicendo che sono un Master of Wine, ho l’opportunità di far comprendere l’ampiezza delle mie competenze e la rigidità della mia formazione. Certo, esistono MW che insistono in specifici punti della filiera produttiva. Per quanto mi riguarda, la mia specializzazione è perlopiù relativa al marketing, storytelling e mercati. Nel 2004 ho co-fondato un’agenzia che si occupa di immagine e comunicazione del vino (Brookshaw&Gorelli). Nel 2015, in concomitanza con il mio primo anno da studente MW, ho dato vita a KH Wines. Ho voluto unirei il know-how acquisito con l’agenzia con il network di relazioni e il grande bagaglio di competenze che ne derivava in un’attività che supportasse le cantine sui mercati internazionali.

La sua terra d’origine, Montalcino… quanto è legato alla culla del Brunello e come essa influisce sul suo lavoro ?

Sono profondamente legato a Montalcino. Credo che si possa affermare con oggettività che sia uno dei luoghi che offre una qualità della vita incredibilmente alta. Chiaramente, a Montalcino, ogni azione e legata o correlata al vino. Se questo poteva avermi dato un vantaggio iniziale dal punto di vista professionale, un legame così forte con una singola zona può rappresentare anche una ‘zavorra’. L’MW mi ha dato la possibilità di astrarre da alcune dinamiche che reputavo corrette solo perché comuni nella mia città natale.

Però sappiamo che Montalcino non è soltanto Brunello. E’ circondata da tante varianti del sangiovese, dall’Orcia Doc al Chianti Docg, Chianti Classico, poi il Nobile di Montepulciano, la Maremma coi suoi ottimi Bolgheri e Morellino. Esiste a suo avviso un bianco toscano capace di tener testa a cotante eccellenze di rosso?

E’ chiaro che il focus della Toscana sia intimamente collegato alla produzione di vini rossi che beneficiano dall’asprezza dei suoli e dalle condizioni climatiche peculiari. Ora, io credo che un’eccellenza si possa ritenere tale per diversi motivi. Nell’ambito dei vini rossi c’è il mito della longevità: quando un vino ‘dura’ è necessariamente un’eccellenza. In quest’ambito, sicuramente il Trebbiano ha molto da dire. C’è un crescente numero di cantine che investono in Trebbiano sempre più ambiziosi ed interessanti. Si può essere un’eccellenza anche per forte identità. Sotto questo punto di vista il Vermentino si sta dimostrando particolarmente rilevante nel panorama vitienologico toscano. I tratti distintivi di questa varietà la rendono identitaria e riconoscibile, quasi come può succedere per il Sauvignon Blanc.

Nelle ultime settimane parlano di lei e del suo riconoscimento di Master of Wine tante testate di settore. Quale strada ha intrapreso per raggiungere un titolo così raro ed ambito ?

Ho dedicato sei anni della mia vita a quest’avventura. Sono entrato nel programma per pura incoscienza. Non avevo idea della durezza di questo percorso quando mi sono avvicinato al MW. L’avventura da studente è stata totalizzante, lasciando spazio veramente a pochissime altre attività. Il lavoro – nel mio caso, i lavori – diventa secondario. Tutte le energie, gli sforzi e le azioni erano orientate al raggiungimento dell’obiettivo. Preso mi sono reso conto della necessità di riuscire a toccare con mano quante più realtà internazionali potessi. Sono arrivato a prendere oltre 40 voli all’anno solo per poter studiare. Guardando indietro realizzo quanto sia stato importante per la mia crescita professionale e personale avere avuto l’opportunità di stare a contatto con gli altri studenti da tutto il mondo. Il senso di appartenenza che si sviluppa crea dei legami forti ed è parte dello spirito che la figura di un MW deve incarnare.

Un recente reportage in onda durante un tg nazionale accennava alla possibilità  di creare grazie a lei, a Montalcino, una sorta di futura “accademia” del Master of Wine. E’ così ?

Probabilmente sono stato frainteso. Di sicuro molti italiani quest’anno proveranno a entrare nell’istituto e questo sarà solo un bene. Anche i miei compagni di studi sono stati profondamente energizzati dal mio successo. L’attività di supporto che fornivo quando ero studente continuerò a darla da MW, come è giusto ed è anche richiesto dall’IMW. Farò quindi dei ‘bootcamp’, simulazioni d’esame per gli studenti italiani e non.

Un titolo che la proietta insomma sul tetto d’Italia per quanto riguarda il vino. Lei pensa che l’Italia possa rilanciare la sua economia ripartendo proprio dall’enoturismo ?

Si, lo credo fermamente. Il mondo del vino incarna per forza di cose valori rurali e bucolici. Non solo, i consumatori si stanno muovendo verso prodotti sostenibili e ad alto valore etico. Anche in questo caso il vino vince. Inoltre, il vino è inclusione, convivialità, relazione, virtù di cui siamo in forte bisogno. Le aziende devono riuscire a far trasparire certe prerogative dal proprio agire e dai propri prodotti. In un mondo che sta spostando la propria attenzione dall’AVERE al FARE, i clienti – di ogni demografica – potranno divenire i migliori ambasciatori per il vino italiano.

 

Grazie per la sua disponibilità e ancora tanti complimenti!

E’ stato un piacere… Grazie a voi!

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