Procida 2022: da carcere a museo d’arte contemporanea, Palazzo d’Avalos inaugura “Sprigionarti”

In mostra opere di Maria Thereza Alves, Jan Fabre, William Kentridge, Alfredo Pirri, Francesco Arena ed Andrea Anastasio: opening venerdì 27 maggio, curatela di Agostino Riitano in collaborazione con Vincenzo De Bellis

0
515
Fonte: ufficio stampa Procida 2022

Una grande mostra d’arte contemporanea in dialogo con gli ambienti suggestivi del complesso di Palazzo d’Avalos, l’ex carcere dell’isola: cinque celle diventano sale personali dedicate all’esposizione di opere straordinarie, alcune delle quali “site-specific”. Si inaugura venerdì 22 maggio “Sprigionarti” (opening su invito, ore 11.00), la mostra d’arte che impreziosisce il programma culturale di Procida Capitale Italiana della Cultura 2022 alimentando la rigenerazione di uno dei luoghi simbolo dell’isola, già edificio signorile, poi Palazzo Reale borbonico e a lungo bagno penale, prima della chiusura definitiva, nel 1988.
Con la curatela di Agostino Riitano in collaborazione con Vincenzo de Bellis e sotto il matronato della fondazione Donnaregina per le arti contemporanee 2022, “Sprigionarti” nasce con l’obiettivo di avviare un progetto di un nuovo nucleo espositivo che sia entità viva e funzionale allo sviluppo culturale e democratico della comunità.  Il percorso espositivo si sviluppa attraverso cinque celle del complesso di Palazzo d’Avalos e coinvolge nomi di assoluto richiamo del panorama dell’arte contemporanea nazionale e internazionale, stimolati dalla sfida di tradurre la propria poetica in un luogo unico e dalla storia complessa e stratificata:  Maria Thereza Alves, Jan Fabre, William Kentridge, Alfredo Pirri, Francesco Arena Andrea Anastasio.
La mostra (ingresso libero, capienza contingentata; policy di accesso a Palazzo D’Avalos a cura dell’associazione Palazzo D’Avalos, info 333 3510701) resterà visitabile fino al 31 dicembre, accompagnando l’anno da Capitale di Procida.

“Abbiamo chiesto a cinque grandi artisti di immaginare una prospettiva relazionale con l’ex colonia penale, un luogo simbolo e testimonianza della storia sociale, politica e urbanistica dell’isola, per indagare nuove risonanze di senso tra la dimensione storica della reclusione e dell’isolamento e la vocazione moderna di apertura e condivisione. – spiega Agostino Riitano, curatore della mostra e direttore di Procida 2022 – L’idea alla base del progetto è che un museo nel ventunesimo secolo debba essere rivolto a tutti, capace di offrire un’esperienza personale di crescita culturale, condiviso collettivamente come valore identitario essenziale, aperto alla diversità culturale, fortemente radicato sul territorio e, allo stesso tempo, orientato verso il contesto nazionale e internazionale. Significativo che questo venga fatto poi in quello che precedentemente è stato un carcere: un luogo di reclusione e di isolamento, si   trasformerà così in un luogo di apertura, fisica e mentale, attraverso l’arte contemporanea. La volontà è quella di costituire un laboratorio dinamico, volto alla produzione culturale e aperto alla partecipazione e all’interazione diretta dei vari segmenti di pubblico, mantenendo al contempo la sua funzione istituzionale di ricerca, produzione, conservazione ed esposizione, capace di valorizzare, e contestualmente rafforzare, la sua missione pubblica, in rapporto dialogico con la società e le dinamiche della cultura contemporanea”.

Nel percorso di visita il primo spazio ospiterà un’opera dell’artista brasiliana Maria Thereza Alves, da sempre impegnata sui temi dell’arte, dell’ecologia, della storia locale ed ambientale. A Procida 2022 Alves espone “Mold Fresco: An archive of breathing”: su un muro di un palazzo antico diverse specie di muffa che interagiscono l’una con l’altra crescono in vari colori. “Qualcuna di esse – sottolinea l’artista – esiste grazie al nostro respiro”.
Nel secondo spazio, l’ex cappella della struttura carceraria, prende forma l’opera di Jan Fabre, “The Catacombs of the Dead Street Dogs” (2009-2017), già esposta a Venezia e San Pietroburgo e stavolta in dialogo straordinario, e del tutto inedito, con la storia secolare di un palazzo che ha custodito mille vite.  Utilizzando vetro di Murano e scheletri di cani, l’artista opera tra fragilità e resistenza, tra interno ed esterno, tra vita e morte.
Il terzo spazio ospiterà una videoinstallazione di William Kentridge, artista di origini sudafricane acclamato a livello internazionale per i suoi disegni, i suoi film, le sue produzioni teatrali e liriche. L’opera è un estratto audiovisivo di “Zeno Writing” (2002), ispirata al famoso personaggio di Italo Svevo e sarà singolarmente visibile dall’esterno della cella attraverso le sbarre, che ne diventano dunque singolare estensione, favorendo un’interpretazione che gioca con il concept di prigionia e libertà. Nell’ultimo spazio, in fondo al corridoio, all’installazione di Alfredo Pirri (“7.0”, installata nel 2017) si aggiungono l’opera di Andrea Anastasio e quella site specific di Francesco Arena.
Con il suo “Letto per i giorni e per le notti”, Arena interpreta la condizione di prigionia di chi è stato rinchiuso in questi spazi, utilizzando la struttura di uno dei vecchi letti del carcere di Procida per poggiarvi una lastra di rame lucidato a specchio larga e lunga quanto un materasso. Sopra vi sono incise le frasi “La luce si sta cambiando in ombra” e “L’ombra di sta cambiando in luce”.
Con “Nine to Five” Andrea Anastasio si riferisce alle 8 ore lavorative che, generalmente, scandiscono la quotidianità delle persone, qui interpretate attraverso una replica fedele di un lampadario seicentesco veneziano chiamato Ca’ Rezzonico, associato a otto lunghe plafoniere a LED. La sua forma circolare e la radialità rimandano alla festa (e allo sfarzo aristocratico), alla giostra popolare e al panopticon.
La mostra è stata realizzata con la collaborazione di Studio Trisorio, Galleria Lia Rumma e Alfonso Artiaco.

GLI ARTISTI

Maria Thereza Alves (San Paolo, 1961) lavora ed espone a livello internazionale dagli anni ’80: tra i cofondatori del Green Party a San Paolo, in Brasile, realizza – il più delle volte attraverso lavori site-specific – opere sui temi dell’arte, dell’ecologia, della storia locale ed ambientale, con il coinvolgimento delle comunità e l’obiettivo di tenere traccia di storie spesso silenti, dando risposta a bisogni locali e procedendo attraverso un processo di dialogo, spesso facilitato, tra materiali, realtà ambientali e circostanze sociali. La sua ricerca è dunque caratterizzata da una forte critica sociale e politica che sottolinea l’impegno morale ed etico che l’artista dimostra verso il mondo in cui vive. Politica e poesia s’intrecciano nella sua carriera, traducendosi in lavori radicalmente multidisciplinari, concettuali e formalisti. I suoi lavori sono stati esposti, tra l’altro, alla Triennale di Guangzhou, a Manifesta a Trento e alla Biennale di Praga.

Artista visivo, coreografo, regista e scenografo teatrale, Jan Fabre (Anversa, 1958), è considerato una delle figure più innovative nel panorama dell’arte contemporanea internazionale.  È stato il primo artista contemporaneo a realizzare mostre personali presso il Museo Louvre di Parigi (2008) e l’Hermitage di San Pietroburgo (2017). Ha presentato numerose installazioni in spazi pubblici fra cui il Castello di Tivoli (1990), il Palais Royal di Bruxelles (2002), il Musées Royaux des Beaux-Arts di Bruxelles (2013), la cattedrale di Anversa (2015). Nel 2016, per la mostra Jan Fabre. Spiritual Guards, sono state esposte a Firenze, tra Piazza della Signoria, Palazzo Vecchio e Forte di Belvedere, più di ottanta opere. È rappresentato in Italia dallo Studio Trisorio che ha presentato le sue personali My Only Nation is Imagination (2017) e Omaggio a Hieronymus Bosch in Congo (2019) nell’ambito della grande mostra Oro Rosso realizzata con il Museo di Capodimonte, il Museo Madre e il Pio Monte della Misericordia. Nel dicembre 2019 Fabre ha sancito il forte legame con Napoli installando in permanenza nella Cappella del Pio Monte della Misericordia quattro grandi sculture in corallo, in dialogo con le opere seicentesche di Caravaggio, Bernardo Azzolino, Luca Giordano, Fabrizio Santafede.

Ph. credits: Marc Shoul, courtesy Galleria Lia Rumma

William Kentridge (nato a Johannesburg, Sudafrica, 1955) è un artista acclamato a livello internazionale per i suoi disegni, i suoi film, le sue produzioni teatrali e liriche. Il suo metodo combina disegno, scrittura, film, performance, musica, teatro e pratiche collaborative per creare opere d’arte che hanno fondamenta nella politica, nella scienza, nella letteratura e nella storia, pur mantenendo uno spazio di contraddizione e incertezza. La sua estetica è tratta dal mezzo della storia del cinema, dall’animazione in stop-motion ai primi effetti speciali. Il disegno di Kentridge, in particolare il dinamismo di un segno cancellato e ridisegnato, è parte integrante della sua estesa pratica di animazione e di regia, dove i significati dei suoi film si sviluppano durante il processo di realizzazione. Le opere di Kentridge sono state protagoniste della scena internazionale per la prima volta nel 1997, quando ha partecipato a Documenta X a Kassel. Da allora il suo lavoro è stato visto in musei e gallerie di tutto il mondo, tra cui il Museum of Modern Art di New York, l’Albertina Museum di Vienna, il Musée du Louvre di Parigi, la Whitechapel Gallery di Londra, il Louisiana Museum di Copenhagen, il museo Reina Sofia di Madrid e il Kunstmuseum di Basilea. Il 2009 ha segnato l’inizio di 5 Temi, una grande mostra che ha aperto al SFMoMA di San Francisco per poi passare al MoMA di New York, al Jeu de Paume di Parigi e all’Albertina di Vienna, tra gli altri.

Andrea Anastasio nasce a Roma nel ‘61. Dopo gli studi in filosofia, intraprende un percorso culturale che lo porta a collaborare a progetti di catalogazione dell’architettura islamica in India, ricerche sull’innovazione delle tecniche artigianali tradizionali, collaborazioni con studi di architettura, case editrici e musei. Affascinato dallo studio delle poetiche dell’arte concettuale e delle sue potenziali convergenze con l’industrial design, disegna mobili e oggetti per aziende italiane protagoniste della scena internazionale. La sua ricerca è incentrata sulla manipolazione di oggetti, beni di consumo e materiali domestici, per generare contaminazioni di linguaggi e significati.

Il visual artist Francesco Arena è nato nel 1978 a Torre Santa Susanna, in provincia di Brindisi. Se si volesse comprimere una gran parte del lavoro di Francesco Arena in una formula semplice e diretta, si potrebbe usare “Numeri che prendono forma”. Perché  se è vero che dal punto di vista linguistico il suo lavoro si può leggere come uno sviluppo, una “deriva” personale di processi scultorei che prendono le mosse dalle forme geometriche tipiche della Minimal art e da quelle più archetipiche dell’Arte Povera – la cui chiave astrattista e impersonale è mescolata con il vissuto, la narrazione di fatti storici o privati – è altrettanto vero che dal punto di vista tematico, le sue opere sono spesso la traduzione di formule e numeri legati a quei fatti o quelle storie da cui esso parte.
La ricerca dell’artista si muove spesso lungo due binari – quello della storia collettiva e quello della storia personale – che formano due linee che si toccano, si sovrappongono, si incrociano. Nelle sue performance, installazioni e sculture, la cronaca “in-forma” gli oggetti, siano essi oggetti del quotidiano – agende, sigari, mobili da salotto – o realizzati con materiali tradizionali della scultura (marmo, ardesia, bronzo).

La location / Palazzo d’Avalos

Mille vite, una dopo l’altra. Senza soluzione di continuità. L’ultima sarà ancor più affascinante. Il complesso di Palazzo d’Avalos, che domina il borgo di Terra Murata, è tra i simboli di Procida: un palazzo rinascimentale costruito nel Cinquecento dalla famiglia d’Avalos, che governò Procida fino alla fine del Settecento, è stato anche scuola militare e infine – anche grazie a una serie di straordinari ampliamenti architettonici – carcere di struggente bellezza, fino al 1988. Vi furono rinchiusi personaggi illustri come Cesare Rosaroll e Luigi Settembrini; dopo la caduta della Repubblica di Salò, dal ’45 al ’50, furono rinchiusi qui tutti i principali capi del regime fascista, da Graziani a Teruzzi, passando per Cassinelli e Junio Valerio Borghese, comandante della X Mas. E ancora: Frank Mannino e gli altri esponenti della Banda Giuliano.  In seguito alla chiusura il carcere fu per anni abbandonato completamente al suo destino; nel 2013 l’edificio e gli spazi adiacenti furono acquistati dal Comune di Procida, che cominciò i lavori di riqualificazione e messa in sicurezza, per consentire visite guidate a turisti e residenti. Oggi è uno dei grandi luoghi della rigenerazione culturale e sociale di Procida 2022.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

due × due =